sabato 5 febbraio 2011

Gengis Khan

Elaborazione interessante, merita un'attenta lettura

Prof. Maria Sala


Era appena spuntata l’alba, una rosea e soffusa luce penetrava dalle canne della mia capanna.
Udii un leggero ticchettare di zoccoli, ma non ci feci caso poiché ero intento a ammirare quel fiabesco ritratto mattutino che, di lì a poco, si sarebbe tramutato negli inferi.
Uscii per prendere l’acqua al pozzo, quando notai un giovine correre spaventato. Quel ragazzo mi cadde addosso, quando lo tirai su gli chiesi cosa lo affliggesse, ma non mi rispose.
Quelle giovani e sudate carni coperte da una umile veste sporca di sangue; vidi che era una freccia a farlo tacere.
E lo fece tacere per sempre.
Era troppo giovane.
Subito una nuvola di dardi infuocati ci piombò addosso, nel villaggio cadde la paura. Gente correva cercava riparo mentre ai lati la fanteria nemica avanzava, macellava e squartava i popolani sul loro percorso; illuminato dalla nube di fuoco sorgeva, sulla collina, l’imponente figura del signore della guerra: Gengis Khan.
Mentre i suoi soldati compivano razzie nelle capanne e strappavano la vita alle nostre mogli e figli, Gengis Khan passava incurante delle barbarie commesse e era concentrato solo sul suo potere.
Osservando il mio villaggio in fiamme e le figure dei guerrieri illuminanti sentii una botta in capo, caddi a terra, poi l’oblio, nei miei occhi la luce scomparve fino al buio totale.
Quando mi svegliai mi trovai al cospetto del maestoso Khan, e nella sua ricca e sontuosa tenda ornata da ogni ben di Dio, pane, vino, carne, vesti pregiate, splendide mogli e una luccicante armatura sul comodo letto con un servizievole paggetto che puliva tutto. Tutto ciò lustrava i miei occhi ritornati cupi alla terribile visione di Gengis Khan.
Egli mi chiedeva dove fossero gli ori del villaggio. Prima di aprire la mia indegna bocca lo osservai attentamente; quella faccia pallida ornata da due demoniaci occhi verdi che incutevano paura e allo stesso tempo sicurezza e bontà. Un profondo e verde celato dall’oscurità. Capelli rossi come la fiamma più vivida si adagiavano sulle guance sporgenti e man mano scendevano sul sudato e ruvido collo, ornato da un medaglione d’oro, fino a poggiarsi delicatamente sulle pellicce che coprivano le spalle. Sotto di esse vi erano le pregiate e rosse vesti, cucitegli dalle bellissime mogli.
Guidai Gengis Khan e alcuni suoi uomini al villaggio nella speranza che l’oro potesse placare la ferocia e salvare qualche vita, inducendo i guerrieri ad abbandonare la mia valle; ma li vidi giustiziare i feriti ansimanti, privar il villaggio dei suoi pochi ori; vidi negli occhi di quelli che commettevano scempio delle mogli rimaste, ira, fame, miseria e povertà.
“Perché?” pensai, perché attaccare un misero villaggio con qualche contadinotto e i suoi poveri averi?
                                                                                                                        Un alunno di 2^ C

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