domenica 16 gennaio 2011

IL BUON UMORE DELL’ESSERE SE STESSI

Alessandro D’Avenia, autore del romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue, ha incontrato i ragazzi monzesi per una riflessione sulla giovinezza.



Troneggia Palermo sullo sfondo e lì, tra il mare e la terra che sa di vita, Alessandro D’Avenia passeggia masticando sogni e libri. Un’adolescenza serena costellata da tanti incontri decisivi: il professore di lettere, uomo straordinario «capace di far toccare con mano la bellezza» e il cammino con padre Puglisi, docente di religione e guida spirituale grazie al quale ha potuto capire quale fosse la sua vocazione, realizzando così di voler spendere, a suo modo, la vita per gli altri. Non mancano, però, anche i ricordi tristi, quelli che hanno permesso ad Alessandro di dare un senso alla sofferenza «ho imparato sulla mia pelle che il dolore rappresenta una parte costituente della vita, ma al servizio della vita. Noi vogliamo controllare, avere potere, dominio su tutto, persino sulla nostra esistenza; il dolore ci mette di fronte alla realtà e così scopriamo che, in fin dei conti, non controlliamo proprio niente. Davanti a tale verità le persone reagiscono in maniera differente o sprofondano nello struggimento e sconforto o trovano un ascolto nuovo». Parole imbevute di saggezza quotidiana eppure così leggere. E se è vero che esistono persone che parlano riempiendosi la bocca di vuoto, è altrettanto evidente che ne esistono altre in grado di vivere e morire per le proprie parole. Il suo entusiasmo e l’amore per la Vita, quella con la v maiuscola, è palpabile e attraente. Adulti e ragazzi ne sono completamente affascinati. Venerdì 12 novembre in molti a Monza hanno avuto la fortuna di assaporare il suo carisma: lo scrittore, infatti, ha incontrato in mattinata gli studenti del Collegio Villoresi per una conferenza sul romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue. E così, tra una citazione dell’Antico Testamento e una battuta del film Hitch, lui sì che capisce le donne, il libro è stato lo spunto per una considerazione più ampia sul senso dell’essere adolescenti oggi: «Tutti noi abbiamo una vocazione e il miracolo dell’essere uomini è proprio il saper riconoscere che dietro ai nostri volti, ai nostri occhi si trova qualcosa di molto più grande. Quando si è ragazzi si vorrebbe raccontare agli altri la propria identità, ma si può essere veramente se stessi solo nella dimensione in cui voi ragazzi decidete di non fermarvi alla superficie, ma vi date risposte più profonde. Non dovete ricercare all’esterno un qualcosa che renda "grande" la vostra vita, perché siete già voi dall’interno una cosa grande. E la vita è tale, indipendentemente dalle vostre fragilità». La distanza tra Alessandro dietro al microfono e i ragazzi era inesistente. Era uno di loro per raccontare la storia di Leo, il protagonista del romanzo, un sedicenne come tanti preoccupato più dei suoi capelli e delle scorribande in motorino che della sua vera identità. Un ragazzo che, a un certo punto della vita, si trova costretto a dover fronteggiare il dolore, tirare fuori la forza di un leone per sanguinare di fronte alla malattia della sua bella Beatrice e da lì rinascere cambiando prospettiva. Una storia intrisa di lacrime, speranze e di Dio. «Leo e tutti noi siamo dentro una narrazione straordinaria, siamo nel disegno e nel sogno di Dio. Il Signore è onnipotenza, ma dentro di lui ci siamo noi; Dante nel Paradiso vede la Trinità e il volto di Cristo, attraverso il quale riesce a vedere il suo. E il nostro Paradiso inizia qui, sulla Terra, quando incolliamo al nostro nome la nostra vera identità». Ai tanti che gli hanno domandato il segreto per trovare la propria vocazione, Alessandro ha suggerito il silenzio «ascoltatevi, imparate ad apprezzare, sfruttare e alimentare tutte le opportunità di silenzio che avete. Per entrare in contatto con se stessi bisogna stare in silenzio e sentire, tutto è dono». Dono è l’amore che riceviamo, le sofferenza che patiamo, i progetti che abbiamo e le scelte che ci caratterizzano. «La vita è un dono, il più grande».
Prof. Benedetta Trabattoni

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