domenica 5 ottobre 2014

Scrivere per comunicare

Durante l’estate ho lasciato che i miei studenti usassero la scrittura per comunicare liberamente un’emozione o un pensiero, attraverso la forma che ritenevano più congeniale (diario, favola, testo giallo…): volevo che usassero la scrittura per fermarsi e dare parole  a ciò che sono e che vivono, o anche ad una suggestione. Il testo che segue nasce dalla forza e dalla crudezza di eventi reali che non possono passare inosservati e si sviluppata in un racconto verosimile.
E’ costruito sfruttando la possibilità che offre la scrittura di osservare con un punto di vista diverso dal proprio abituale; questo non è solo un esercizio di stile, ma è anche un modo per fermarsi e riflettere sulla realtà, o meglio “sulle realtà”. Sviluppa empatia e abitua a indagare il mondo attraverso occhi differenti. Che cosa ne pensate?"
Prof. Maria Sala



LOTTARE PER VIVERE


La Guerra, un orribile combattimento, un massacro di persone innocenti che combattono per salvare la propria patria. Sono nata a Mali, uno stato dell’africa Orientale. Fin da piccola i miei genitori mi avevano insegnato a non fidarmi di nessuno e che il mondo poteva essere crudele. Non realizzai mai questo concetto fin quando compii sedici anni. È in quell’anno in cui tutto incominciò. Ogni mattina mi svegliavo con l’assordante suono delle mitragliatrici, mi affacciavo dell’unica minuscola finestra alta e larga dieci centimetri, e tutto ciò che vedevo, erano uomini in divisa che si muovevano a passo felino intorno al villaggio.
Da piccola chiesi a mia madre chi fossero quegli uomini e che cosa facessero lì fuori, mia madre rispose che erano degli angeli mandati da dio per salvare il nostro popolo. Di quei angeli faceva parte anche mio padre.


Ci fu un giorno in cui le scorte di cibo finirono, quel giorno però era diverso, mi affacciai dal mio finestrino e non vidi né sentii il rumore della guerra, così credetti che fosse tutto finito, ma mi sbagliavo. Mio padre, per non farci morire di fame, decise di approfittare della situazione per uscire e andare a chiedere del cibo. Mia madre era contraria alla decisione di papà e così si oppose in tutti i modi, ma papà disse che non voleva vederci morire lentamente. Così convinto di fare la cosa giusta prese un fucile, ma quell’arma non bastava per difendersi da ciò che gli sarebbe successo, e uscì di casa. Io corsi verso il mio finestrino e guardai mio padre camminare verso la strada. Stava per girare l’angolo. Mi distrassi per un secondo e mi guardai le spalle alla ricerca di mia madre quando sentii una scossa al terreno così forte che caddi dalla sedia. Ero terrorizzata all’idea di che cosa avesse causato quella scossa, così mi rialzai, ma feci un balzo all’indietro quando ricordai che papà era lì fuori. Così guardai attraverso il minuscolo finestrino e vidi papà disteso per terra sanguinante. Urlai più forte che potevo mia madre corse da me e io dissi solamente: ”Papà!” così mia madre dopo qualche secondo capì e corse fuori dal bunker in preda al panico. Vidi che si fermò a pochi metri da papà, che era circondato da militari, fin quando un militare si staccò dal gruppo e avanzò verso mamma e le disse qualcosa che la fece disperare al tal punto di farla  inginocchiare e scoppiare a piangere. Io ero rimasta davanti al mio finestrino a guardare quell’orribile scena. Dopo alcuni momenti di pensiero realizzai che papà era morto.
Mi sentii morire dentro. Era come se fossi stata trafitta da milioni di spade, il dolore era indescrivibile. Non sentivo più il battito del mio cuore, volevo tornare indietro nel tempo e fermare papà, ma ormai era troppo tardi. Ero in un momento di confusione e di immenso dolore, a pochi metri da me c’era il corpo senza fiato di papà. Era come una scena surreale, ed era quello che speravo, perché pochi minuti fa papà era a parlare con la mamma e a scherzare con me, mentre ora era in mezzo ad un campo di battaglia. Così gli uomini in divisa ripresero a sparare e la guerra che sembrava finita ricominciò.


Passarono due anni dalla morte di papà, non era cambiato nulla a parte una cosa: avevo sentito parlare di imbarcazioni che partendo dal porto di Tripoli in Libia portavano la gente in salvo in Italia.
Mia madre quell’anno decise di prenderlo. Ricordo che tutti nel villaggio parlavano bene dell’Italia dicevano che era un luogo in cui regnava la pace,  vi era tanta vegetazione... Insomma un luogo perfetto, ed era proprio in quei luoghi in cui ho sempre sognato di vivere. Il giorno seguente mia mamma non fece altro che parlare di quel viaggio, mi disse che non sarebbe stata una passeggiata. Inizialmente dovevamo andare fino al porto di Goa attraverso i tunnel sotterranei, dopo avremmo preso un aereo che ci avrebbe scortato fino al confine della Libia, e una volta arrivati avremmo  preso un treno che ci avrebbe portato a Tripoli, la capitale.


Di primo impatto sembrò un viaggio lungo e faticoso, ma poi la voglia di vivere senza preoccupazioni prese il sopravvento. Mancava una sola settimana alla partenza, e quella che era la nostra “casa” si svuotò. In quel posto avevo trascorso la peggior parte della mia vita, ma eravamo pronti a ricominciare. Tutti i giorni di quella straziante settimana guardavo e riguardavo la mia stanza per assicurarmi di non aver lasciato nulla di importante, fin quando il giorno arrivò. Ci svegliammo la mattina presto, due uomini in divisa ci aiutarono a portare i bagagli nel viaggio. Dovete sapere che in ogni bunker del villaggio vi era una porta che conduceva nei tunnel sotterranei. Dopo aver camminato per due ore arrivammo in un piccolo aeroporto a Goa, da lì i due soldati ci dissero verso dove dirigerci e se ne andarono. Dopo aver trovato l’aereo esatto partimmo.


Dopo poche ore di viaggio mi addormentai e quando mi svegliai vidi mia madre indicarmi il finestrino, così mi voltai e vidi un nuovo paesaggio, vidi molti più alberi, moltissime case, le case vere e proprie, eravamo arrivati. Appena scesi dall’aereo prendemmo un autobus che ci condusse al treno che portava a Tripoli. Così salimmo sul nuovo mezzo, ci mettemmo comode e partimmo. Passate altre ore di viaggio all’inizio del vagone si intravide il controllore, avanzò verso di noi e ci chiese il biglietto e i documenti. Con sguardo quasi comprensivo li restituì e andò avanti. Il viaggio sembrava lunghissimo, ma alla fine arrivammo. Era una piccola cittadina, molto affollata e vi era anche un porto con delle enormi navi.
Mamma sapeva che l’appuntamento era in una piccola rientranza vicino al porto, molto nascosta. Raggiungemmo con molta speranza quella maledetta spiaggia. Aspettammo lì per tutto il giorno raccontandoci che cosa avremmo potuto fare o essere e ci accorgemmo solamente allora: che vi erano tantissime persone ad aspettare quel “peschereccio” e incominciai a dubitare che ci fosse stato posto per tutti. Purtroppo ebbi a breve la risposta: per me e mia madre c’era solo un posto. Mia madre passò sulla difensive dicendo che aveva pagato per entrambe. Mentre vedevo mia madre lottare per la nostra sopravvivenza, ebbi il timore di perdere anche lei, ma non potevo permetterlo così incominciai a discutere con il capitano e a essere forte.


Erano ormai passati due minuti, e non c’era verso di fare cambiare idea al capitano,  così ci arrendemmo al fatto che non avremmo vissuto la nostra vita insieme. Il capitano si allontanò e salì sulla barca, ci disse che fra dieci minuti saremmo partiti e avanzò, io e mia madre ci guardammo per alcuni minuti, riflettendo. Il silenzio fu rotto da mia madre che mi disse: “Vai, parti”. Io la guardai dritta negli occhi e mi opposi, non volevo abbandonarla qui. Non riuscivo più ad essere forte, una lacrima scese, seguita da milioni di lacrime che segnavano il mio dolore. Guardavo mia madre, cercava di essere forte per me, cercava di non piangere, non voleva dimostrare il suo dolore e mi chiedevo come facesse.
Ci guardammo dritte negli occhi, e la abbracciai più forte che potevo, mia mamma mi sussurrò nell’orecchio con voce tremolante: “Amore, io ho già vissuto la mia vita, che grazie a te e tuo padre è stata stupenda, ma tu tesoro mio hai ancora una lunga vita davanti a te e non posso permettermi di fartela rovinare. Ricorda tesoro che la mamma è dentro il tuo cuore e puoi stare tranquilla che non ti lascerà mai.”


Dedica: Questo racconto è tratto dalla realtà. Ho dedicato questo racconto alle persone che hanno lottato per avere una vita nuova e che magari hanno perso la propria, alle persone che hanno perso famigliari o che hanno avuto tanta speranza per ricominciare.
Un'alunna di 3^ C



5 commenti:

Anonimo ha detto...


Brava, molto toccante
Lucia Rusconi

Anonimo ha detto...

Brava. Il tuo scritto ci aiuta a riflettere sulle barbarie delle guerre. Non cadiamo nella globalizzazione dell'indifferenza innanzi a tali fatti.

Anonimo ha detto...

Commovente

Anonimo ha detto...

bello e molto toccante!!
Bravissima

Anonimo ha detto...

Brava Sara,
davvero. Coraggiosa, profonda, toccante.
E' nata una piccola scrittrice?
Con tanto affetto
zia Margaret (Mazzantini)