Durante l’estate ho lasciato che i miei studenti usassero la scrittura per comunicare liberamente un’emozione o un pensiero, attraverso la forma che ritenevano più congeniale (diario, favola, testo giallo…): volevo che usassero la scrittura per fermarsi e dare parole a ciò che sono e che vivono, o anche ad una suggestione. Il testo che segue nasce dalla forza e dalla crudezza di eventi reali che non possono passare inosservati e si sviluppata in un racconto verosimile.
E’ costruito sfruttando la possibilità che offre la scrittura di osservare con un punto di vista diverso dal proprio abituale; questo non è solo un esercizio di stile, ma è anche un modo per fermarsi e riflettere sulla realtà, o meglio “sulle realtà”. Sviluppa empatia e abitua a indagare il mondo attraverso occhi differenti. Che cosa ne pensate?"
Prof. Maria Sala
Di primo impatto sembrò un viaggio lungo e faticoso, ma poi la voglia di vivere senza preoccupazioni prese il sopravvento. Mancava una sola settimana alla partenza, e quella che era la nostra “casa” si svuotò. In quel posto avevo trascorso la peggior parte della mia vita, ma eravamo pronti a ricominciare. Tutti i giorni di quella straziante settimana guardavo e riguardavo la mia stanza per assicurarmi di non aver lasciato nulla di importante, fin quando il giorno arrivò. Ci svegliammo la mattina presto, due uomini in divisa ci aiutarono a portare i bagagli nel viaggio. Dovete sapere che in ogni bunker del villaggio vi era una porta che conduceva nei tunnel sotterranei. Dopo aver camminato per due ore arrivammo in un piccolo aeroporto a Goa, da lì i due soldati ci dissero verso dove dirigerci e se ne andarono. Dopo aver trovato l’aereo esatto partimmo.
LOTTARE PER VIVERE
La Guerra, un orribile combattimento, un massacro di persone innocenti
che combattono per salvare la propria patria. Sono nata a Mali, uno stato
dell’africa Orientale. Fin da piccola i miei genitori mi avevano insegnato a
non fidarmi di nessuno e che il mondo poteva essere crudele. Non realizzai mai
questo concetto fin quando compii sedici anni. È in quell’anno in cui tutto
incominciò. Ogni mattina mi svegliavo con l’assordante suono delle
mitragliatrici, mi affacciavo dell’unica minuscola finestra alta e larga dieci
centimetri, e tutto ciò che vedevo, erano uomini in divisa che si muovevano a
passo felino intorno al villaggio.
Da piccola chiesi a mia madre chi fossero quegli uomini e che
cosa facessero lì fuori, mia madre rispose che erano degli angeli mandati da
dio per salvare il nostro popolo. Di quei angeli faceva parte anche mio padre.
Ci fu un giorno in cui le scorte di cibo finirono, quel
giorno però era diverso, mi affacciai dal mio finestrino e non vidi né sentii il
rumore della guerra, così credetti che fosse tutto finito, ma mi sbagliavo. Mio
padre, per non farci morire di fame, decise di approfittare della situazione per
uscire e andare a chiedere del cibo. Mia madre era contraria alla decisione di
papà e così si oppose in tutti i modi, ma papà disse che non voleva vederci
morire lentamente. Così convinto di fare la cosa giusta prese un fucile, ma
quell’arma non bastava per difendersi da ciò che gli sarebbe successo, e uscì
di casa. Io corsi verso il mio finestrino e guardai mio padre camminare verso
la strada. Stava per girare l’angolo. Mi distrassi per un secondo e mi guardai
le spalle alla ricerca di mia madre quando sentii una scossa al terreno così
forte che caddi dalla sedia. Ero terrorizzata all’idea di che cosa avesse
causato quella scossa, così mi rialzai, ma feci un balzo all’indietro quando
ricordai che papà era lì fuori. Così guardai attraverso il minuscolo finestrino
e vidi papà disteso per terra sanguinante. Urlai più forte che potevo mia madre
corse da me e io dissi solamente: ”Papà!” così mia madre dopo qualche secondo
capì e corse fuori dal bunker in preda al panico. Vidi che si fermò a pochi
metri da papà, che era circondato da militari, fin quando un militare si staccò
dal gruppo e avanzò verso mamma e le disse qualcosa che la fece disperare al
tal punto di farla inginocchiare e
scoppiare a piangere. Io ero rimasta davanti al mio finestrino a guardare
quell’orribile scena. Dopo alcuni momenti di pensiero realizzai che papà era
morto.
Mi sentii morire dentro. Era come se fossi stata trafitta da
milioni di spade, il dolore era indescrivibile. Non sentivo più il battito del
mio cuore, volevo tornare indietro nel tempo e fermare papà, ma ormai era
troppo tardi. Ero in un momento di confusione e di immenso dolore, a pochi
metri da me c’era il corpo senza fiato di papà. Era come una scena surreale, ed
era quello che speravo, perché pochi minuti fa papà era a parlare con la mamma
e a scherzare con me, mentre ora era in mezzo ad un campo di battaglia. Così
gli uomini in divisa ripresero a sparare e la guerra che sembrava finita
ricominciò.
Passarono due anni dalla morte di papà, non era cambiato
nulla a parte una cosa: avevo sentito parlare di imbarcazioni che partendo dal
porto di Tripoli in Libia portavano la gente in salvo in Italia.
Mia madre quell’anno decise di prenderlo. Ricordo che tutti
nel villaggio parlavano bene dell’Italia dicevano che era un luogo in cui
regnava la pace, vi era tanta
vegetazione... Insomma un luogo perfetto, ed era proprio in quei luoghi in cui
ho sempre sognato di vivere. Il giorno seguente mia mamma non fece altro che
parlare di quel viaggio, mi disse che non sarebbe stata una passeggiata.
Inizialmente dovevamo andare fino al porto di Goa attraverso i tunnel
sotterranei, dopo avremmo preso un aereo che ci avrebbe scortato fino al
confine della Libia, e una volta arrivati avremmo preso un treno che ci avrebbe portato a
Tripoli, la capitale.Di primo impatto sembrò un viaggio lungo e faticoso, ma poi la voglia di vivere senza preoccupazioni prese il sopravvento. Mancava una sola settimana alla partenza, e quella che era la nostra “casa” si svuotò. In quel posto avevo trascorso la peggior parte della mia vita, ma eravamo pronti a ricominciare. Tutti i giorni di quella straziante settimana guardavo e riguardavo la mia stanza per assicurarmi di non aver lasciato nulla di importante, fin quando il giorno arrivò. Ci svegliammo la mattina presto, due uomini in divisa ci aiutarono a portare i bagagli nel viaggio. Dovete sapere che in ogni bunker del villaggio vi era una porta che conduceva nei tunnel sotterranei. Dopo aver camminato per due ore arrivammo in un piccolo aeroporto a Goa, da lì i due soldati ci dissero verso dove dirigerci e se ne andarono. Dopo aver trovato l’aereo esatto partimmo.
Dopo poche ore di viaggio mi addormentai e quando mi svegliai
vidi mia madre indicarmi il finestrino, così mi voltai e vidi un nuovo
paesaggio, vidi molti più alberi, moltissime case, le case vere e proprie,
eravamo arrivati. Appena scesi dall’aereo prendemmo un autobus che ci condusse
al treno che portava a Tripoli. Così salimmo sul nuovo mezzo, ci mettemmo
comode e partimmo. Passate altre ore di viaggio all’inizio del vagone si
intravide il controllore, avanzò verso di noi e ci chiese il biglietto e i
documenti. Con sguardo quasi comprensivo li restituì e andò avanti. Il viaggio
sembrava lunghissimo, ma alla fine arrivammo. Era una piccola cittadina, molto
affollata e vi era anche un porto con delle enormi navi.
Mamma sapeva che l’appuntamento era in una piccola rientranza
vicino al porto, molto nascosta. Raggiungemmo con molta speranza quella
maledetta spiaggia. Aspettammo lì per tutto il giorno raccontandoci che cosa
avremmo potuto fare o essere e ci accorgemmo solamente allora: che vi erano
tantissime persone ad aspettare quel “peschereccio” e incominciai a dubitare
che ci fosse stato posto per tutti. Purtroppo ebbi a breve la risposta: per me
e mia madre c’era solo un posto. Mia madre passò sulla difensive dicendo che
aveva pagato per entrambe. Mentre vedevo mia madre lottare per la nostra
sopravvivenza, ebbi il timore di perdere anche lei, ma non potevo permetterlo
così incominciai a discutere con il capitano e a essere forte.
Erano ormai passati due minuti, e non c’era verso di fare
cambiare idea al capitano, così ci
arrendemmo al fatto che non avremmo vissuto la nostra vita insieme. Il capitano
si allontanò e salì sulla barca, ci disse che fra dieci minuti saremmo partiti
e avanzò, io e mia madre ci guardammo per alcuni minuti, riflettendo. Il
silenzio fu rotto da mia madre che mi disse: “Vai, parti”. Io la guardai dritta
negli occhi e mi opposi, non volevo abbandonarla qui. Non riuscivo più ad
essere forte, una lacrima scese, seguita da milioni di lacrime che segnavano il
mio dolore. Guardavo mia madre, cercava di essere forte per me, cercava di non
piangere, non voleva dimostrare il suo dolore e mi chiedevo come facesse.
Ci guardammo dritte negli occhi, e la abbracciai più forte
che potevo, mia mamma mi sussurrò nell’orecchio con voce tremolante: “Amore, io
ho già vissuto la mia vita, che grazie a te e tuo padre è stata stupenda, ma tu
tesoro mio hai ancora una lunga vita davanti a te e non posso permettermi di
fartela rovinare. Ricorda tesoro che la mamma è dentro il tuo cuore e puoi
stare tranquilla che non ti lascerà mai.”
Dedica: Questo racconto è tratto dalla
realtà. Ho dedicato questo racconto alle persone che hanno lottato per avere
una vita nuova e che magari hanno perso la propria, alle persone che hanno
perso famigliari o che hanno avuto tanta speranza per ricominciare.
Un'alunna di 3^ C
5 commenti:
Brava, molto toccante
Lucia Rusconi
Brava. Il tuo scritto ci aiuta a riflettere sulle barbarie delle guerre. Non cadiamo nella globalizzazione dell'indifferenza innanzi a tali fatti.
Commovente
bello e molto toccante!!
Bravissima
Brava Sara,
davvero. Coraggiosa, profonda, toccante.
E' nata una piccola scrittrice?
Con tanto affetto
zia Margaret (Mazzantini)
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