domenica 7 ottobre 2012

Introduzione alla costituzione


Lunedì 1 Ottobre le seconde medie hanno incontrato in aula magna il docente universitario di diritto privato in Bocconi,  Matteo Mattioni,  il quale, a seguito dell’invito della Prof.ssa Mariotti, ha introdotto e presentato la Costituzione Italiana: come e quando è nata, il contesto storico-politico in cui l’assemblea costituente ha operato, la sua struttura interna  ed infine i diritti e i doveri  fondamentali dei cittadini italiani.

Gli alunni sono rimasti colpiti e soddisfatti dall’incontro con il professore e hanno avuto la possibilità di chiedere spiegazioni circa i concetti più difficili o complessi. La loro curiosità e il loro interesse  sono stati la prova più tangibile della veridicità e dell’importanza dell’esperienza fatta.

Infatti, soprattutto a questa età,  il ragazzo deve iniziare a prendere coscienza di chi è, di dove vive, della realtà che lo circonda, più ampia e complessa e che ha una precisa storia, cultura e tradizione, la quale  non può essere separata e strappata dal tempo presente. Conoscere le nostre radici ci aiuta a conoscere di più chi siamo ora.
Prof. Valeria Mariotti

In allegato il materiale su cui si è basata la lezione  del Prof. Mattioni.
 
Ecco  il materiale su cui si è basata la lezione del Prof. Mattioni.
 
La Costituzione italiana. Una introduzione facile 
Sommario: 1. Che significa “costituzione”? – 2. Nascita e struttura della Costituzione italiana. – 3. I “Principi fondamentali”. – 4. Diritti e doveri dei cittadini. Garanzie costituzionali.
1. – Per poter conoscere e capire le regole fondamentali di organizzazione di un paese, occorre aver ben compreso il concetto di “costituzione”. È un concetto comune a tutte le formazioni sociali: ogni aggregazione stabile di persone, infatti, è retta da alcune regole di base. Ciò è evidente per le imprese societarie, le cui norme di funzionamento sono contenute nei relativi statuti. Ma lo stesso vale per nuclei sociali ancora più elementari come, ad es., la famiglia: anche questa ha le sue regole interne, seppur non scritte, le quali stabiliscono da chi e come vengono prese le decisioni – dalle più banali alle più importanti – riguardanti tutti i familiari.
Ebbene, il medesimo discorso può farsi con riferimento all’organizzazione di una nazione: anche in questo caso, e a maggior ragione, esistono regole di funzionamento che rappresentano lo “scheletro” della comunità e ne costituiscono la fibra profonda. Basti pensare alle regole sulla distribuzione del potere fra i diversi organi dello Stato e tra potere centrale e periferia, o alle norme sui rapporti fra organi e cittadini, o sulla produzione di norme vincolanti per tutti.
Questo insieme di regole fondamentali è, in sostanza, la costituzione di una società. E, in questi termini, appare evidente che ogni società (anche quelle più antiche: pensiamo alla democrazia ateniese o alla repubblica romana) ha una sua costituzione, scritta o non scritta.
Ma, oltre che come insieme di regole, la costituzione di un’organizzazione nazionale può essere intesa anche come manifesto politico, cioè come la fonte normativa (ossia l’atto produttivo di norme giuridiche) che racchiude i più importanti valori politici di una nazione. E del resto, negli ultimi tre secoli, quasi tutte le situazioni in cui un popolo si è dato una nuova costituzione sono seguite a grandi sommovimenti politici. Molto spesso, infatti, le fratture provocate da eventi storici epocali (Rivoluzione francese, fine delle due Guerre mondiali, crollo dell’Impero russo e poi del comunismo nell’ex Unione sovietica) impongono ai Paesi coinvolti di riformare su basi nuove le regole della convivenza sociale al loro interno.
Quasi sempre, infine, la costituzione di uno Stato è anche un documento: gli Stati moderni, infatti, sono soliti affidare le proprie fondamentali regole organizzative a uno scritto, un documento solenne destinato a guidare il perseguimento degli obbiettivi di fondo del sistema. Non mancano, però, esempi anche antichi di costituzioni scritte: è il caso della celeberrima Magna Charta Libertatum del 1215, la quale raccoglie una serie di diritti e garanzie (in parte presenti anche nella nostra Costituzione, come i principi del giusto processo e della proporzionalità delle pene rispetto alla gravità dei delitti commessi: artt. 111, comma 1°, e 27, comma 3°) concessi dal re Giovanni Senzaterra, nel contesto di un sistema feudale, ai baroni da lui tartassati, di cui desiderava riguadagnarne la fiducia dopo una guerra fallimentare.
Anche la Costituzione italiana è scritta, come quasi tutto il nostro diritto vigente. Fra i documenti normativi, essa è il più importante in assoluto, collocandosi al di sopra di tutte le leggi: essa è, come si suol dire, la fonte suprema del diritto, ossia l’atto che produce le norme giuridiche di maggior valore, norme che le leggi non possono contraddire. La Costituzione impartisce ordini al Parlamento, tenutario del potere legislativo (per ciò detto anche legislatore), imponendogli di adottare certe leggi (si veda, ad es., l’art. 37, comma 2°, che impone di stabilire per legge l’età minima per il lavoro). Ma, a monte, essa stabilisce anche il modo in cui si fanno le leggi, disciplinando il procedimento per la creazione di norme vincolanti per tutti i cittadini (artt. 70 e segg.).
Riepilogando, dunque, la Costituzione è al contempo l’insieme delle regole di organizzazione di uno Stato, il manifesto politico che racchiude i valori e gli ideali di fondo della nazione, e un testo normativo. Ciascuno di questi significati ha una propria importanza e corrisponde a un profilo che è oggetto di studio da parte, rispettivamente, dei sociologi, dei filosofi e degli storici, dei giuristi.
 
2. – Il testo definitivo della nostra Costituzione fu approvato da quasi il 90% dell’Assemblea costituente, un collegio formato dai rappresentanti eletti attraverso le consultazioni del 2 giugno 1946: quelle stesse elezioni con cui circa 13 milioni di italiani (comprese le donne, che per la prima volta si recavano alle urne) sceglievano di passare dalla monarchia (cui andò, comunque, la preferenza di circa 11 milioni di italiani) alla forma di governo repubblicana. L’Assemblea, politicamente molto eterogenea, si componeva di 556 persone provenienti per il 37% dalla Democrazia cristiana, per il 20% dal Partito socialista e per il 19% da quello comunista (ma molte altre forze, quantitativamente inferiori, vi erano rappresentate).
Si trattava di partiti nuovi e dal futuro incerto: essi si presentavano agli elettori (il cui bacino, come detto, era più ampio rispetto al passato, grazie all’estensione del voto alle donne) dopo due decenni di dittatura fascista, senza sapere quale fra loro avrebbe prevalso nelle future elezioni. Il timore di soccombere nei mesi a venire suggeriva a questi partiti grande cautela, la quale finì col prevalere sul desiderio di ciascuna fazione di imporsi sulle altre nella compilazione della nuova Costituzione.
Non deve stupire, pertanto, se questa risulta piuttosto lunga (139 artt. contro, ad es., i 92 della Costituzione francese). Infatti, un consenso così vasto in seno all’Assemblea costituente poté raggiungersi solo sommando interessi, valori, richieste diversissime. Con l’ulteriore conseguenza che la nostra è una costituzione “aperta”, nel senso che non si propone d’individuare il punto di equilibrio e di sintesi tra i diversi interessi in gioco, ma si limita a elencarli, lasciando alla legislazione successiva il compito di scegliere tra le diverse strade possibili. Si potrebbe dire che la Costituzione contenga gli ingredienti per la preparazione delle leggi dello Stato: spetta al legislatore di impastarli nelle dosi e con la tecnica più opportune a seconda del momento storico in cui agisce (si veda ciò che diremo sull’art. 41, in tema di iniziativa economica privata).
Questo carattere aperto della nostra Costituzione, anche se criticato da qualcuno, può considerarsi una qualità positiva: esso, infatti, fa della Costituzione un documento pluralista, dotato di grande adattabilità ai tempi. Limitandosi, in molti casi, ad affermare quali valori non possono essere totalmente sacrificati, senza però stabilire quali tra loro debbano prevalere nel conflitto con altri, essa sembra essersi garantita una lunga vita. E la sua grande adattabilità ai tempi deriva anche dal  lessico utilizzato, che privilegia termini ampi (parlando, per es., di “comunicazione” – art. 15 – in un tempo in cui non esistevano ancora e-mail e messaggi sms) e criteri indeterminati (che i giuristi chiamano “clausole generali”: ne è un esempio il “buon costume”, di cui parla l’art. 19).
La Costituzione si articola in due parti, le quali sono precedute da dodici articoli recanti i “Principi fondamentali” dell’ordinamento. La Parte I è dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”, i quali sono suddivisi a loro volta fra “Rapporti civili” (libertà personale, tutela del domicilio, libertà di culto e di associazione, diritto di difesa in giudizio, ecc.), “Rapporti etico-sociali” (relativi a famiglia e istruzione), “Rapporti economici” (lavoro, impresa, proprietà, ecc.) e “Rapporti politici” (diritto-dovere di voto, dovere di difesa dello Stato, dovere di pagare i tributi).
La Parte II è invece dedicata all’organizzazione interna dello Stato (“Ordinamento della Repubblica”), disegnata nel rispetto del principio di separazione dei poteri: una regola fondamentale per gli Stati moderni, ma di origine antica (già per il filosofo Platone la divisione del potere sovrano tra più soggetti sarebbe stata un efficace mezzo per prevenire abusi), la quale impone che chi deve decidere in base alle leggi sia un soggetto diverso da colui che le scrive, e chi deve governare in base alle leggi sia diverso da chi è chiamato a giudicare se esse siano state osservate.
Al Parlamento, titolare del potere legislativo, è dedicato il Titolo I della Parte II, a sua volta suddiviso in due sezioni, rispettivamente sulle due Camere (Senato e Camera dei Deputati) e sulla formazione delle leggi. Il Titolo II è invece dedicato al Presidente della Repubblica e quelli successivi al Governo (titolare del potere amministrativo), alla Magistratura (potere giudiziario), agli enti locali (Regioni, Province, Comuni) e, infine, agli strumenti di garanzia – cui accenneremo in chiusura – del rispetto e della conservazione della Costituzione.
 
3. – I “Principi fondamentali”, raccolti nei primi dodici articoli della Costituzione, costituiscono un complesso di norme di principio poste l’una accanto all’altra – e anche, in certi casi, l’una contro l’altra, come diremo con riferimento ai due commi dell’art. 3. Si tratta di principi ideologici e politici anche eterogenei, che i membri dell’Assemblea costituente trasposero nella Costituzione prendendoli dai loro diversi programmi politici. E, in fondo, è stato osservato che la stessa idea di fissare nella Costituzione i colori della bandiera (art. 12) rivela la volontà di evitare che un’ideologia possa prevalere sulle altre fino al punto di imporsi anche sul piano simbolico dell’insegna nazionale.
Le disposizioni della Costituzione possono dividersi in due categorie: quella delle norme “programmatiche”, contenenti appunto un programma per il legislatore, del quale esse richiedono l’intervento per venire attuate pienamente (si pensi all’art. 42, comma 2°, che impone alla legge di determinare i limiti della proprietà privata); e quella delle norme “precettive”, cioè immediatamente vincolanti per tutti, in quanto dotate di un contenuto obbligatorio sufficientemente preciso (si pensi al comma 4° dell’art. 13, che punisce “ogni violenza fisica e morale sulle persone … sottoposte a restrizioni di libertà”). Fra i “Principi fondamentali” si ritrovano soprattutto norme del primo tipo, di cui merita ricordare almeno le prime tre, dotate di importanza straordinaria.
L’art. 1 dichiara senza preamboli la centralità del lavoro nel nostro ordinamento nazionale: è il lavoro il vero cuore del Paese, il suo centro motore, il propulsore primario del progresso della nazione. Ne consegue che esso è sia un diritto sia un dovere di tutti, e come tale è preso in considerazione dai due commi dell’art. 4 (nonché dagli artt. 35-40, che attribuiscono importanti e sostanziosi diritti ai lavoratori, fra cui quello di scioperare). Ma l’art. 1 è importante anche perché fissa la forma di governo repubblicana, che nel nostro Paese è declinata secondo il modello della democrazia rappresentativa (in cui i cittadini sono elettori che delegano il potere politico a propri rappresentanti), sia pure con alcune forme di democrazia diretta (laddove i cittadini fanno direttamente le leggi, votandole, e direttamente assumono le decisioni di governo, come ad Atene nel V sec. a.C. o – più di recente – nella Comune di Parigi del 1871) come l’iniziativa legislativa popolare (art. 71, comma 2°) e il referendum (art. 75).
L’art. 2, oltre all’inviolabilità dei diritti umani, afferma l’inderogabilità dei doveri di solidarietà economica e sociale, ossia gli obblighi che sono espressione di quella necessità di “venirsi incontro” che è alla base, ad es., delle limitazioni del diritto di sciopero (sancito dall’art. 40) al fine di assicurare il funzionamento dei servizi pubblici essenziali: pensiamo allo sciopero dei ferrovieri, durante il quale alcuni treni debbono pur sempre circolare, garantendo il trasporto ai lavoratori pendolari.
Importantissimo è poi l’art. 3, il cui comma 1°, nell’affermare che “tutti i cittadini … sono eguali davanti alla legge”, sancisce quella che i giuristi chiamano “unicità del soggetto di diritto”. Il nostro diritto, infatti, riconosce un solo tipo di soggetto, ossia il cittadino, ricco o povero che sia, umile o nobile: un tempo non era così, posto che, in molti casi, ai nobili era applicabile una legge, agli esponenti del clero un’altra, al popolo un’altra ancora. Questa dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge è una regola rivolta soprattutto a chi fa le leggi, vietandogli di creare privilegi o discriminazioni ingiustificate: vietandogli, cioè, trattare diversamente le persone (mediante l’attribuzione a esse di diritti diversi) in base alla loro fede religiosa, alle opinioni politiche, alla provenienza territoriale, ecc. Sarebbe sicuramente incostituzionale, per es., una legge che imponesse ai cittadini di origine straniera di pagare più tasse rispetto ai cittadini figli di italiani.
Ma questo modello di uguaglianza (che i giuristi chiamano “formale”) può non essere sufficiente, poiché le differenze di fatto esistenti tra i cittadini possono rendere profondamente ingiusto un sistema in cui tutti sono trattati allo stesso modo. È vero che i malati non possono essere trattati dalla legge peggio dei sani, ma spesso non basta che essi siano trattati esattamente come i sani: infatti, affermare che tutti hanno diritto di voto non basta, ma occorre che i seggi elettorali siano accessibili a chi non può camminare, o che i ciechi possano essere accompagnati nella cabina da un assistente fidato. È vero che i poveri non possono essere trattati peggio dei ricchi, ma – anche in questo caso – a volte non basta che essi siano trattati allo stesso modo dei ricchi: non basta dire che tutti hanno diritto all’istruzione, ma occorre che i poveri siano aiutati concretamente con sconti sulle tasse scolastiche, sull’acquisto dei libri, ecc. (si veda al riguardo l’art. 34, che prevede l’istituzione di “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze”).
Come ha affermato il filosofo Norberto Bobbio, “libero non è colui che ha un diritto astratto senza il potere di esercitarlo, bensì colui che oltre al diritto ne ha anche il potere di esercizio”. E allora l’uguaglianza deve anche essere giusta, nel senso che deve tener conto delle differenze sociali, che la Repubblica ha il compito di rimuovere, come impone il comma 2° dell’art. 3. Uguaglianza “formale” e uguaglianza “sostanziale” sono, dunque, due principi interdipendenti, la cui dialettica pervade tutta la Parte I della Costituzione E così, al riconoscimento del diritto dei figli ad essere mantenuti dai genitori (art. 30, comma 1°) segue l’affermazione che, “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” (art. 30, comma 2°); all’affermazione astratta dei diritti della famiglia (art. 29, comma 1°) segue la previsione di “misure economiche e altre provvidenze” per agevolarne la formazione (art. 31, comma 1°); all’affermazione del diritto alla salute di ogni individuo segue la previsione per cui “la Repubblica … garantisce cure gratuite agli indigenti” (art. 32, comma 1°); e così via.
 
4. – La Parte I della Costituzione è dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”, e si articola in una sorta di spirale: i diritti, infatti, sono individuati a partire da quelli più strettamente legati all’individuo, allargando via via a quelli che riguardano l’interazione e l’aggregazione fra persone. Questa spirale ha al proprio centro l’uomo, particella fondamentale della società, tutelato nella sua individualità dagli artt. 13-16 (libertà personale, tutela del domicilio e delle comunicazioni, diritto a circolare liberamente). Gli artt. 17-21 si incentrano, invece, sull’attività pubblica dell’uomo (associazione, professione della fede religiosa, manifestazione del pensiero nel mondo esterno), mentre gli artt. 29-31 tutelano la famiglia come la più importante delle formazioni sociali, cellula della società civile e suo strumento di conservazione. Segue l’elencazione delle fondamentali libertà economiche del cittadino (lavoro, imprenditoria, ecc.: artt. 35-47) e dei suoi diritti e doveri politici (voto e partecipazione attiva alla cosa pubblica: artt. 48-51).
Qui dobbiamo ricordare almeno il diritto alla libertà personale sancito dall’art. 13, inteso come diritto alla disponibilità e libertà fisica della propria persona (quella libertà che i giuristi chiamano talvolta “habeas corpus”, formula latina che letteralmente significa “che tu conservi il tuo corpo”). Si tratta di una libertà affermata a favore dell’uomo e contro lo Stato, che nei sistemi moderni ha il monopolio dell’uso della forza: una libertà che nel tempo è stata allargata dagli interpreti ed estesa, al di fuori del corpo umano, ai contenitori che abitualmente sono portati sulla persona (come il portafogli) o a immediato contatto col corpo (come le borsette).
Di qui, senza soluzione di continuità, si passa alla garanzia fissata dall’art. 14, che riguarda un’altra importantissima proiezione spaziale della persona: il domicilio. E anche qui gli interpreti hanno provveduto a estendere la tutela, al di là delle abitazioni private, a qualsiasi spazio isolato dall’ambiente esterno di cui l’individuo disponga in modo legittimo (pensiamo, per es., all’automobile).
La Costituzione procede così lungo il sentiero della tutela delle libertà fondamentali, seguendo il cittadino nelle sue interazioni col mondo esterno (libertà di circolazione e soggiorno: art. 16) e con gli altri individui (si vedano l’art. 15 sulla libertà e la segretezza delle comunicazioni, l’art. 18 sulla libertà di associazione e gli artt. 19 e 21 sulla libertà di coscienza, intesa come diritto di coltivare ed esprimere le proprie convinzioni interiori – religiose, politiche, filosofiche, ecc.).
La Parte I della Costituzione si chiude con l’elencazione dei fondamentali diritti economici e politici dei cittadini. Fra i primi, si può ricordare il diritto di libera iniziativa economica (ossia la libertà di intraprendere iniziative imprenditoriali), assicurato in via generale dal comma 1° dell’art. 41 ma subito temperato dai limiti posti dal comma 2°, consistenti nella “utilità sociale” e nella “sicurezza, … libertà, … dignità umana”; mentre il comma 3°, infine, incarica il legislatore di determinare “i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica … possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Ne risulta un art. 41 che, nel suo complesso, appare in bilico fra i due opposti modelli dell’economia di mercato (fondata sul libero scambio e l’azione spontanea dei privati) e del dirigismo economico (laddove lo Stato esercita una forte influenza sui settori produttivi, indirizzando l’economia verso l’interesse pubblico).
Il nostro Paese viene oggi da una lunga stagione di “privatizzazioni” di pubbliche imprese (Eni, Enel, Telecom, ecc., un tempo di proprietà pubblica ed ora, almeno in parte, in mano privata) e di “liberalizzazioni” (processi di apertura alla libera concorrenza di alcuni settori economici un tempo calcati esclusivamente dallo Stato: telecomunicazioni, trasporto aereo e ferroviario, ecc.). Nell’attuale sistema economico, fortemente aperto all’iniziativa privata rispetto al passato, non mancano però i controlli, affidati in molti casi alle autorità amministrative indipendenti (autonome, cioè, dal governo e dal suo indirizzo politico), come l’Agcom per le comunicazioni e la Consob per la borsa, a vigilare sui diversi settori.
Quanto ai diritti politici riconosciuti ai cittadini, essi riguardano soprattutto la partecipazione alla vita politica e alla formazione delle decisioni pubbliche. Ciò avviene soprattutto mediante il diritto di voto (art. 48: cosiddetto “elettorato attivo”, ossia il diritto di eleggere), l’organizzazione in partiti politici (art. 49) e il diritto di “accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive” (art. 51: “elettorato passivo”, cioè il diritto di essere eletti). Ma non mancano, in quest’ultima sezione della Parte I, alcuni doveri dei cittadini: importantissimo è quello di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della … capacità contributiva” di ciascuno (art. 53), ossia il dovere i pagare i tributi; ma ci sono anche il dovere di difesa della Patria attraverso il servizio militare (obbligatorio per tutti i cittadini in caso di guerra), di cui parla l’art. 52, e lo stesso esercizio del voto, che il comma 2° dell’art. 48 definisce un “dovere civico”.
Diciamo, infine, che la Costituzione è stata congegnata e scritta per durare nel tempo. Non a caso, essa prevede al suo interno due forti garanzie di continuità: sono queste le “Garanzie costituzionali”, cui sono dedicate le ultime norme della Parte II (artt. 134-139).
Una di queste è quella che i giuristi chiamano “rigidità” della Costituzione: poiché quest’ultima contiene le regole fondamentali dello Stato, essa non deve poter essere modificata troppo facilmente. Di conseguenza, è previsto un procedimento particolarmente lungo e gravoso per cambiare la Costituzione, tale da assicurare che ogni sua modifica sia largamente condivisa dal Parlamento e dall’intero Paese (art. 138). La rigidità, però, non può spingersi fino alla totale immodificabilità della Costituzione, ciò che sarebbe un vero e proprio invito alla rivoluzione. Fa eccezione, sotto questo aspetto, solo l’art. 139, norma finale che prevede espressamente l’invariabilità della forma repubblicana dello Stato, scelta direttamente dagli stessi cittadini in quel lontano 2 giugno 1946.
L’altra garanzia di continuità consiste nella istituzione di un giudice incaricato di sentenziare non sugli uomini e le loro azioni, bensì… sulle leggi. Si tratta della Corte costituzionale (artt. 134-137), alla quale possono essere sottoposte tutte le leggi dello Stato al fine di verificarne la conformità alla Costituzione, che – come abbiamo visto – è la fonte del diritto che sta al di sopra di tutte le altre. Così, ad es., dal momento che la Costituzione garantisce la libertà di associazione (art. 18), sarebbe sicuramente incompatibile con essa e, quindi, incostituzionale – e dunque andrebbe eliminata – una legge che imponesse l’autorizzazione del prefetto per ogni nuova associazione.
In questo modo, la Costituzione cerca di assicurare la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo armonico attraverso il tempo. Il raggiungimento di tali obbiettivi, però, dipende soprattutto dai cittadini e dalla loro volontà di continuare a vivere secondo le regole poste da questo documento eccezionale, frutto della storia e della civiltà del nostro popolo. Finché ciascuno di noi riconoscerà l’alto valore della Costituzione in ogni ambito della vita pubblica e privata, non potremo perdere la speranza nel futuro del nostro Paese.

 

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